TRAGEDIA GRECA ANTICA - UNA BREVE REVISIONE |
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Δευτέρα, 05 Δεκέμβριος 2011 21:03 |
Tragedia Greca Antica: Una breve Revisione di Georgios Katsantonis Prefazione Il contenuto cosmologico della tragedia antica si fa la causa della sopravvivenza della specie nei secoli. Perchè la tragedia antica ha impostato l’ uomo davanti a timèle in tutto il suo splendore e la vita umana in tutta la sua pienezza e l’ emozione sovraumana della tragedia è stata ed è e sarà insuperabile. Il presente è diviso in brevi sezioni e include i temi: I caratteri della tragedia, la struttura interna della tragedia, il problema dell’ origine e il nome della tragedia , la Mimesi e la catarsi aristotelica, L’Apollineo e Dionisiaco di Nietzsche nonchè la tesi di Schopenhauer sul concetto della tragedia. Lo studio si conclude con un riferimento separato ad ognuno dei tre poeti tragici. L’ età d’ oro della tragedia antica Evoluta durante l’ arco di parecchi secoli e svincolata dalle sue origini sacrali, la tragedia greca consegui la sua configurazione definitiva nel V secolo a.C., attraverso le opere dei tre massimi drammaturghi antichi:Eschilo,Sofocle ed Euripide. Poichè la società greca attribuiva al teatro, e in particolare alla tragedia, una funzione educativa di primaria importanza, le rappresentazioni venivano finanziate con denaro pubblico (Coregìa)1 e ad Atene si giunse addirittura a pagare un’ idennnità agli indigenti affinchè partecipassero gratuitamente alle rappresentazioni. Poichè la tragedia era incentrata su vicende capaci di provocare un forte coinvolgimento emotivo negli spettatori , tramite sentimenti di terrore (per le funeste consequenze delle azioni dei protagonisti) e di pietà (per le sofferenze subite dai personaggi), si riteneva che essa dovesse «purificare» coloro che vi assistevano(Catarsi), inducendoli a trarre una profonda lezione di vita dai fatti rappresentati. I caratteri della tragedia La tragedia prevede protagonisti di rango sociale elevato (talora personaggi storici famosi o appartenenti al mito ). Quasi sempre all’ origine della catastrofe vi è l’ infrazione di un divieto (imposto dalla natura ,dagli dèi o dalle leggi umane) da parte del protagonista principale, il quale espierà duramente la sua colpa. Struttura interna della tragedia La tragedia consta di piu parti: - Prologo. E’ la parte che precede l’entrata del coro. Informa gli spettatori di cio che e avvenuto in precedenza o del punto in cui e giunto lo svolgimento dell’azione. In Eschilo e in Sofocle il prologo ha carattere drammatico, descrive la scena; in Euripide e narrativo, espone spesso gli antefatti del dramma.
Il problema dell’ origine della Tragedia Problema fra i più controversi della filologia classica è quello dell’origine della tragedia2. Le Fonti sono troppo contraddittorie per permetterci una soluzione.Secondo alcune Fonti c’è la data del 524 a.C., quando Tespi avrebbe rappresentato la prima tragedia ad Atene. Ma ciò è una convenzione, perché la prima tragedia si ha quando un uomo lascia la propria identità, riveste quella di un personaggio del passato e si contrappone al Coro, coinvolgendo emotivamente e psicologicamente tutto il pubblico e quindi rendendolo parte integrante della rappresentazione stessa. La tragedia nasce quando lo spettatore scopre che nell’azione teatrale egli può vivere un’altra realtà, diversa dalla propria, ma che in ultima analisi rivela la sua realtà, attraverso il monito, sempre presente nella tragedia, che la vita umana è dolore. Questa rivelazione della propria condizione, l’uomo-spettatore, la può sostenere solo filtrata e rispecchiata nella finzione del dramma, quasi a consolarsi che il dramma non è cosa reale e quindi anche il proprio dolore viene ad essere, in certo modo, esorcizzato e accettato. Il nome Il termine “tragèdia” pare derivi dalla parola τράγος, capro, un animale presente nelle tradizioni mitologiche greche. Spesso infatti Dioniso era assimilato ad un capro e i componenti del coro che intonavano il ditirambo in onore di Dioniso erano satiri6, per meta uomini e per l’altra meta capri. Dal momento pero che nella tragedia nulla rimanda al capro, si dovra pensare che il termine tragedia indichi un “canto sul capro” o “canto per il capro”, intendendo tale animale vittima di un sacrificio agreste legato al culto dionisiaco o magari il premio di una gara poetica; oppure lo si dovra intendere come “canto dei capri”, cioe dei coreuti del ditirambo travestiti da capri. In ogni caso, tutte e tre le ipotesi ci riportano al culto di Dioniso La prima parte del nome va messo in rapporto con “tràgos” “capro”, quindi: 1) ‘Canto sul capro’; animale-totem a cui è assimilato Dioniso. 2) ‘Canto per il capro’; come premio per un componimento poetico. 3) ‘Canto dei coreuti mascherati da capri’; questa terza interpretazione ci riporta al dramma satìrico. Mimesi e catarsi Come è già stato detto, il primo studio critico sulla tragedia è contenuto nella Poetica di Aristotele. In esso troviamo elementi fondamentali per la comprensione del teatro tragico, in primis i concetti di mimesi7 (μίμησις, dal verbo μιμεῖσθαι, imitare) e di catarsi8 (κάθαρσις, purificazione). Scrive nella Poetica: “La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e completa [...] la quale per mezzo della pietà e della paura provoca la purificazione da queste passioni9″In altre parole, gli eventi terribili che si susseguono sulla scena fanno sì che lo spettatore si immedesimi negli impulsi che li generano, da una parte empatizzando con l’eroe tragico attraverso le sue emozioni (pathos), dall’altra condannandone la malvagità o il vizio attraverso la hýbris (ὕβρις – Lett. “superbia” o “prevaricazione”, i.e. l’agire contro le leggi divine, che porta il personaggio a compiere il crimine). La nemesis finale rappresenta la “retribuzione” per i misfatti, punizione che fa nascere nell’individuo proprio quei sentimenti di pietà e di terrore che permettono all’animo di purificarsi da tali passioni negative che ogni uomo possiede. La catarsi finale, per Aristotele rappresenta la presa di coscienza dello spettatore, che pur comprendendo i personaggi, raggiunge questa finale consapevolezza distaccandosi dalle loro passioni per raggiungere un livello superiore di saggezza. Il vizio o la debolezza del personaggio portano necessariamente alla sua caduta in quanto predestinata (il concatenamento delle azioni sembra in qualche modo essere favorito dagli déi, che non agiscono direttamente, ma ex macchina). La caduta dell’eroe tragico è necessaria, perché da un lato possiamo ammirarne la grandezza (si tratta quasi sempre di persone illustri e potenti) e dall’altra possiamo noi stessi trarre profitto dalla storia. Per citare le parole di un grande grecista, la tragedia «è una simulazione», nel senso utilizzato in campo scientifico, quasi un esperimento da laboratorio: Apollineo e dionisiaco: l’analisi di Nietzsche Apollineo e Dionisiaco sono termini introdotti nell’ uso filosofico da Nietzsche per indicare l’ armonica luminosità dello spirito greco, espressa esemplarmente dalla figura del dio Apollo , in opposizione e ad integrazione alla componente passionale, dolorosa, oscura, espressa della figura del Dio Dioniso Nietzsche si occupa della tragedia greca nel suo primo libro pubblicato, “La nascita della tragedia”. La sua ricerca parte dall’individuazione delle due componenti tipiche di ogni arte: apollineo e dionisiaco. Due elementi principali della tragedia: da un lato quello dionisiaco (la passione che travolge il personaggio) e dall’ altro, quello apollineo (la saggezza e la giustizia l’elemento razionale simboleggiato appunto dal Dio Apollo). Contrasto che sarebbe alla base della nemesis, la punizione divina che determina la caduta o la morte del personaggio. Nella cultura greca antica, afferma Nietzsche, «esiste un contrasto, enorme per l’origine e i fini, fra l’arte plastica, cioè l’apollinea, e l’arte non plastica della musica, cioè la dionisiaca». Questi due istinti così diversi camminano uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio, stimolandosi reciprocamente a sempre nuove e più gagliarde reazioni per perpetuare in sé incessantemente la lotta di quel contrasto, su cui la comune parola di “arte” getta un ponte che è solo apparente: finché in ultimo, riuniti insieme da un miracolo metafisico prodotto dalla “volontà” ellenica, essi appaiono finalmente in coppia e generano in quest’accoppiamento l’opera d’arte della tragedia attica, che è tanto dionisiaca quanto apollinea11. L’uomo ha perso se stesso ed il terrore che ne deriva è troppo forte per essere tollerato: interviene allora la visione apollinea, che permette alla soggettività di riapparire come illusione. La visione apollinea è una visione salvifica senza la quale l’uomo non potrebbe tollerare d’esistere. “ Proprio in questo, nel cogliere l’essenza della vita, la tragedia e l’arte in generale divengono la giustificazione estetica della vita. In altre parole l’esperienza che lo spettatore vive durante la tragedia rende la vita possibile e degna di essere vissuta. L’uomo attraverso la tragedia si riappropria delle sue passioni contrastanti e realizza che gioia e dolore sono entrambi necessari, sono entrambi presenti nella vita. Impara a godere tanto dell’uno quanto dell’altra. Egli apprende la natura tragica della vita. ” Nietzsche supera il rassegnazionismo schopenhaueriano: l’uomo non deve fuggire dal mondo, non deve isolarsi e soprattutto non deve cercare di annientare i suoi istinti, ovvero la “volontà”. L’uomo deve piuttosto vivere secondo la sua natura, assecondando questi istinti proprio come fa con la ragione. L’uomo, per sopportare la vita, non deve allontanarsi da essa, ma avvicinarsi a quello che davvero è per sua natura. Lo seppero fare gli antichi greci, con la creazione del teatro e della tragedia greca; non ci riesce l’uomo moderno, ingabbiato dalla razionalità che ebbe il sopravvento dall’età socratica in poi. Schopenhauer vide nel messaggio della tragedia un invito alla rassegnazione, ad allontanarsi da una vita di noia e dolore. F. Nietzsche, come scrive nella nascita della tragedia , trovò nella tragedia greca la massima espressione artistica dell’uomo, la perfetta armonia di apollineo e dionisiaco: l’uomo greco seppe dare voce alla sua angoscia e ai suoi impulsi irrazionali in una dimensione razionale quale il teatro. Il fatto che la tragedia non si risolve semplicemente in una rappresentazione teatrale è evidente, nè tantomeno essa è semplicemente un’amara constatazione della miseria dell’uomo. W. M. Dixon afferma che la grandezza della tragedia è lo slancio che promuove verso il trascendente, il limite che l’eroe tragico cerca di superare. A. Camus ritiene invece che il messaggio della tragedia sia quello di un progressivo ritorno all’umanità: il riconoscimento di tale destino superiore quale limite invalicabile per la propria condizione porta l’uomo a riappropriarsi di tutto ciò che effettivamente gli è proprio. Per questo Edipo, cieco e vagabondo ma sorretto dall’amore delle due figlie, arriva a dire che “Tutto è bene”. La tesi di Schopenhauer: Il mondo come volontà e rappresentazione Schopenhauer dedica una parte della sua opera principale, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, alla tragedia. Ne analizza il messaggio e la funzione, in relazione al rapporto tra l’uomo e la volontà. La tragèdia mette in scena la volontà in una lotta contro se stessa che, attraverso i terribili conflitti interni dei personaggi, la porta ad un’ autodistruzione. La tragèdia mostra la vita nel suo aspetto terribile. Ci presenta il dolore senza nome, l’affanno dell’umanità, il trionfo della perfidia, la schernevole signoria del caso e il fatale precipizio dei giusti e degli innocenti. E’ proprio nel dolore dell’umanità che si fa visibile, in tutta la sua pienezza, il contrasto della volontà con se stessa. E’ un’unica volontà, ma ha molteplici manifestazioni che si scontrano e dilaniano a vicenda: il dolore umano può essere prodotto in parte dal caso e in parte dall’ errore, in parte dagli dei e in parte dall’ uomo. Questa lotta continua provoca, in alcuni individui maggiormente e in altri meno, la rivelazione della volontà stessa e, di conseguenza, il suo annientamento. L’accecamento di Edipo è un chiaro esempio. Edipo, accecandosi, si libera da ogni legame col mondo terreno e da ogni impulso irrazionale: era stata proprio la cieca volontà a guidarlo verso l’omicidio del padre e l’ incesto con la madre. Edipo, diventato cieco, guarda la volontà per come è davvero e, proprio per questo, ne annulla l’effetto. La tragèdia, poi, trasmette un preciso messaggio: mostrando le sofferenze degli uomini e l’ insensatezza della vita, suggerisce all’ uomo che essa non merita il nostro interesse e quindi produce in lui rassegnazione. Il senso del tragico promuove quindi la consapevole rinuncia della felicità: l’uomo, riconoscendo il significato più profondo della vita, spezza momentaneamente le catene della volontà con il suo rifiuto di vivere. I più imprtanti e riconosciuti autori di tragedie furono Eschilo Sofocle ed Euripide, che affrontarono i temi più sentiti del mondo ellenico del V secolo a.C. La loro interpretazione della tragèdia è differente: le opere di Eschilo sono incentrate sul ruolo della giustizia divina e sull’ indagine della colpa umana. Sofocle sposta l’ attenzione dal significato complessivo del mito all’ individuo-eroe, visto nella sua tragica opposizione al destino (Aiace, Edipo Re) e nella sofferente fedeltà al dovere eroico (Elettra, Antigone).L’ interesse di Euripide si appunta invece sulle sofferenze e le peripezie cui l’ individuo è costretto dalla irrazionalità delle sue passioni o dalle forze iperumane che presiedono la realtà risservando alle divinità un ruolo di secondo piano. ESCHILO Alle grandi feste dionisiache del 500 a.C partecipò,tra gli altri ,anche il giovane Eschilo, nato presso Atene nel 525 a.C. Non risultò quell’ anno tra i vincitori , ma si mise in luce per la sua grande intelligenza e bravura perchè, come accadeva a quei tempi, non solo si presentò con una tragedia ,per la quale aveva composto anche la musica, ma l’ interpretò e ne curò l’ allestimento scenico.Eschilo apparteneva ad una famiglia ricca, ed aveva ricevuto un’ educazione raffinata. I bambini ateniesi di allora cominciavano a frequentare la scuola all’ età di sei anni. Imparavano a scrivere ,a leggere ,a fare i conti , poi frequentavano il ginnasio dove l’ insegnamento si allargava alle arti al fine di valorizzare non sono l’ intelligenza, ma anche la forza fisica (mens sana in corporem sano) che sarebbe stata molto utile in guerra. Anche Eschilo aveva preso parte alla lotta per la libertà della sua patria , e la sua partecipazione alla battaglia di Maratona, costituì un’ esperienza fondamentale per completare la sua formazione. SOFOCLE Clistene, nel 509 a.C., aveva abolito la divisione della cittadinanza in classi, e adottato una suddivisione, a seconda della zona di provenienza, in dieci tribù. Ognuna di queste sorteggiava cinquanta cittadini che facevano parte della ‘’Bulè’’ ,un consiglio di cinquecento membri, che preparava le leggi ed aveva importanti compiti politici. Sofocle (479 circa- 406) riportò la sua prima vittoria nel 468 a.C. Anche Sofocle, come Eschilo , proveniva da una famiglia benestante ad aveva ricevuto un’ ottima educazione. Era particolarmente esperto nella danza e nella musica –suonava con grande perizia la cetra, uno strumento a corde molto in voga nell’ antica Grecia – e fu scelto per la sua bravura a giudicare il ‘’ coro degli efebi’’ che fasteggiavano e cantavano la vittoria navale di Salamina(480 a.C.) Euripide Euripide nacque a Salamina nel 480 a.C., nell’ anno quindi della grande vittoria riportata dagli ateniesi sui pensiani, proprio nella sua città natale. Si dedicò in gioventù alla filosofia, alla poesia e all’ atletica. Fu anche un danzatore esperto. Di carattere scortese e solitario, non fu nè compreso nè amato dai suoi contemporanei, e fatto segno a violenti attacchi contro il suo modo di vivere, considerato immorale. Per questo , nella maturità, preferì abbandonare Atene, per ritirarsi in Macedonia dove visse alla corte del re Archelao, noto mecenate di artisti e poeti. La leggenda narra che morì nel 406 a.C. a Pella di Macedonia, sbranato dai cani del re, durante una partita di caccia. Fu considerato il più autorevole rivale di Sofocle, ma pur partecipando a numerose gare drammatiche, riuscì a vincere solo cinque volte. Sofocle, che gli sopravvisse, nonostante questa rivalità che aveva condizionato in vita i loro rapporti , in occasione della sua morte,in segno di rispetto e ammirazione, presentò al pubblico i coreuti vestiti a lutto. Di Euripide si conoscono novantadue drammi; sopravvivono diciotto tragedie di cui una, il Reso, è generalmente considerata spuria, e un dramma satiresco, il Ciclope.Tra le sue opere Ecuba, Medea , Ifigenia e Le Troiane, che vengono spesso rappresentate anche ai nostri giorni, e che sono una trangibile testimonianza del suo lirismo e della sua straordinaria grandezza, doti fortunatamente valorizzate dai posteri. Anche Euripide, come i suoi predecessori, trasse gli argomenti dei suoi drammi dalla mitologia, e infatti nelle sue opere ritroviamo i nomi tradizionali di dèi ed eroi più conosciutì, e il loro bagaglio di leggende. Ma, e in questo consiste la grande forza innovatrice di Euripide, per la prima volta questi personnagi ‘’ mitici’’, diventano ‘’umani’’ e quindi non sono perfetti, come voleva la consuetudine, ma si presentavano con le loro debolezze, i loro peccati, i loro rimorsi. Soffrono o sono felici proprio al livello di comuni mortali. In questa nuova dimensione i personaggi acquistano un altro respiro e nuovo vigore, e nascono le straordinarie figure di Ecuba, la sventurata moglie del re Priamo, che con Cassandra e Andromaca esprimono magistralmente tutto il dolore delle done di Troia per il tragico destino toccato alla loro città vinta e sconvolta;di Medea, nella sua sofferta storia d’ amore e di morte-di Ifigenia , la figlia di Agamemnone, consacrata dal padre al sacrificio alla dea Artemide, e da questa salvata e trasformata in cerva, che rappresenta un’ esaltazione della purezza femminile. Sul personaggio di Ifigenia Euripide scrisse due tragedie: Ifigenia in Tauride e Ifigenia in Aulide, quest’ ultima rappresentata dopo la sua morte. I temi fondamentali della sua riflessione: Il comportamento delle divinità. Il comportamento dell’ uomo. Euripide non ha fiducia negli uomini che considera incoerenti e insinceri. Egli è convinto che nulla possa recare conforto all’ intricata esistenza umana:ricchezza e gloria sono beni effimeri, la libertà è un illusione, la sventura colpisce senza regole e con imparziale crudeltà. La vita,, dunque, è male di per sè e non prevede alcun rimedio: l’ unica soluzione al dolore che essa inevitabilmente comporta è la morte. La solitudine dell’ individuo. Ad Euripide , che introdusse anche importanti innovazioni tecniche per quanto riquarda i costumi e l’ impiego del coro,spetta quindi un posto d’ onore nella storia del teatro, perchè schiuse la strada al dramma moderno e talvolta lo anticipò. Non è immeritata quindi la gloria che Euripide incontrò subito dopo la sua morte proprio nella città da dove era fuggito. Ci sono pervenuti diversi documenti grafici e pittorici che documentano la rappresentazione delle sue opere e che ci permettono anche di avere notizie su come si era evoluto sia il palcoscenico sia il modo di rappresentare la tragedia. Appunti GEORGIOS KATSANTONIS è dottore in Studi Teatrali presso la Facoltà di studi Umanistici e Sociali all’ Università degli Studi di Patrasso. ______________________________________________ Lesky A., La poesia tragica gli antichi greci ,Vol’Α’: Dalla nascita del genere fino e Sofocle,Vol’ Β’:Euripide e la fine del genere, trad.: N. Χourmouziadis The National Bank of Greece Cultural Foundation(ΜΙΕΤ), Αtene. Lignadis T., L’ animale e la bestia ,Operazione poetica e recitazione di tragedia antica greca, Irodotos, Atene,1988. Vernant, J.P. – Naquet P.V., Mito e Tragedia nella antica Grecia, Daidalos–Zacharopoulos, Atene, 1988. 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